Archive for Pensieri

Ansia e creatività

il bello è semplicemente l’inizio del terribile che molti di noi appena sopportano
Rainer Maria Rilke

 

Vorrei affrontare il tema dell’ansia e della creatività come due istanze che fannoLampada verde 2 parte dell’esistere nel tempo. Lavoro con il teatro con adolescenti da alcuni anni, ho lavorato con l’uso della voce e del corpo in passato e ancora questi sono due strumenti che amo e che spesso mi accompagnano nel lavoro con le persone.

Vorrei affrontare il tema dell’ansia e della creatività come psicologa interessata all’arte. Sono interessata a ricercare come la creazione e la creatività siano due forme di esistenza per l’anima e diano forma all’individualità, che altro non è che un’esperienza da vivere nell’incontro con l’esterno e con la diversità degli altri.

L’ansia ha sempre rappresentato un tema forte della mia vita e per questo mi ci avvicino volentieri anche nel lavoro. L’ansia è un’emozione che fa parte della famiglia della paura, che annuncia un pericolo, che  spinge alla fuga e all’evitamento.

La paura e il dolore sono infatti due emozioni che l’essere umano regge poco volentieri e a cui cerca di porre fine il prima possibile. Così l’ansia, appena annusata, si tenta di sfuggirla con mille comportamenti compensativi che sottraggano a questo stato di scomodità a cui spesso non si sa dare forma e nome. Questi comportamenti allontanano dalla fonte della paura e del dolore, ma non curano le ferite del dolore, ne’ danno rassicurazione alla paura. Fanno rimandare in un susseguirsi ciclico di situazioni che si ripetono.

Nella mia esperienza personale e in quella professionale considero l’ansia un bene, ma in dosi sostenibili per l’organismo. Se non c’è per niente, c’è una sorta di stasi; se c’è ne è troppa, si arriva ad una immobilità o vorticosità centripeta che comunque porta a stasi.

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Destrutturare l’esperienza della forma, per percepire oltre la forma

L’amore come ampliamento dello sguardo
 
 Canto verso l’orizzonte, si apre la visione del mondo e la voce danza

“La cosa importante non è trasformarsi in qualcuno o qualcosa,
ma la metamorfosi in se’ il fatto che ci si trasformi.”
Kazuo Ohno (maestro di danza butoh, 1906-2010)

 

Nel processo terapeutico come nella vita, la fissità in una forma porta a non vedere ciò che è vivo e si muove, sia persona o cosa. L’esperienza dello stare in contatto è stare in contatto con qualcosa che si muove e si trasforma nel contatto tra osservatore e osservato.

L’idea precostituita di una persona, di un paesaggio, di una situazione, delle proprie reazioni, rende morta quella esperienza. Ciò che viviamo in quel momento non è il contatto autentico, ma un’idea di ciò che già conosciamo, che non è già più.

Ecco che il gesto di una persona che apre le braccia con impeto può venire colto come spavento ma, se comincio a rallentarlo sempre più, si destruttura quella forma e diventa altro: diventa qualcosa che non ha più quel senso ma ne va assumendo un altro non ancora conosciuto, che può diventare infinite cose. È un passaggio dal generale al particolare, dall’insieme al dettaglio e, all’inverso, quello che permette di uscire dalla forma e di cogliere altro.

Con il movimento possiamo permettere all’esperienza del corpo di un lento decomporsi e ricomporsi di nuove forme e significati. L’energia di un gesto può essere il ponte per la fioritura di un altro gesto che si va a comporre sopra il primo. Ma per far questo, è necessario destrutturare l’immagine della prima forma, per non rimanere incastrati nella nostra abituale forma di risposta a quel gesto/comportamento.

Per esempio, nelle relazioni, la paura di perdere l’amicizia, l’amore dell’altro, spinge a ripetere risposte sempre uguali, pattern appresi ma spesso poco efficaci per l’obiettivo desiderato, perché non in contatto con la realtà presente. Si rimane impigliati nel significato/forma che si attribuisce al comportamento dell’altro e si reagisce in conseguenza, rimanendo nello stesso frame di significato.

Il timore ci imprigiona in una rete sottile e noi dobbiamo
rimuovere questa rete! Siamo ansiosi perché non siamo
in grado di vivere con la nostra paura, l'ansia è propria
degli adulti.
Il ballerino con lo spirito del butoh lavora
con le origini dei suoi timori, ne viene fuori un ballo
che conduce alle viscere della terra.
Kazuo Ohno

La destrutturazione della forma potrebbe portare a vedere come quel comportamento non necessariamente abbia il significato che gli si attribuisce ma, detto in altri termini, probabilmente ha un altro senso oltre quello apparente.

La danza butoh giapponese vive di questa continua trasformazione nel corpo,Foto Mic Greco 01 nelle emozioni, nelle visioni, stando in contatto con il fiorire e lo sfiorire continuo e inesorabile delle forme.

Lasciare che i gesti si destrutturino nella ripetizione lenta, lentissima, fino a diventare un altro gesto. Dalla percezione al movimento, accogliere la bellezza, l’emozione che evoca, e poi lasciare che questa entri nel proprio corpo e prenda una forma propria.

Oggi ballerete l'Amleto in un paese di rane : dovete
liberarvi dall'illogico, ciò che è impossibile apre nuovi
percorsi. Essere libero non significa fare ciò che si
vuole o che si pensa, al contrario!! significa liberarsi
dal pensiero e dalla volontà. 
L'immaginazione aiuta a scoprire l'anima; il ballerino
"diventa creatore del mondo, colui che non ha identità,
colui che è esistito prima dell'apparire dell'individuo,
alla fine tutto altro non è che un gioco"
Se vuoi danzare un fiore, puoi mimarlo: sarà un fiore
qualunque, banale e per nulla interessante. Ma se poni
alla base della tua ricerca la bellezza di quel fiore e le
emozioni che evoca nel tuo corpo morto, allora il fiore
che crei attraverso la danza sarà vero e unico, e il
pubblico sentirà la tua emozione.
Kazuo Ohno

La voce e il linguaggio delle emozioni

La voce è espressione di emozioni personali e, allo stesso tempo, forma e informa lo spazio della relazione nel contatto, nel rifiuto, nella richiesta, nella rabbia, nella seduzione e nella disponibilità a lasciarsi trasformare dalla relazione stessa, come in un gioco.

Mettersi nei panni dell’altro è anche mettersi nella voce dell’altro, andare al di là del muro che certe parole e certi toni creano, fare uno spazio interno dove le voci abbiano il tempo di risuonare e di tradursi in emozioni che hanno un corpo e un’anima.

Il processo di ascolto degli effetti del suono sul corpo e dei riverberi emotivi interni a volte è immediato, altre volte richiede il darsi tempo per non cadere in vischiose catene di azioni e reazioni reciproche che allontanano sempre più gli interlocutori.

Il lavoro si muove nella direzione di ascolto di quell’eco che permane nell’aria, che risuona emozionando; va verso lo sviluppo di un’attenzione interna, intenta a riconoscere che effetto fa a me la mia voce e la voce dell’altro, i miei silenzi e i suoi, accettando le reazioni come ingrediente da mettere in gioco nel lasciarsi trasformare.

La relazione di aiuto infatti richiede di esserci a tutto tondo, di una presenza
Nozze di Sangue consapevole che tenga conto delle proprie emozioni in modo autentico e non solo di ciò che si ritiene congruo con il proprio ruolo. È un allenamento a dare voce a quello che dentro si manifesta come indicibile, come qualcosa di troppo sfuggente per essere confinato in una parola, o di troppo spaventoso per essere affermato davanti all’altro con il rischio di perderlo.

La voce ha qualità di trasparenza rispetto al sentire, per essere emessa con una certa intenzione richiama il corpo ad una presenza inusuale, rilassata ma direzionata dall’intenzione di sporgersi al di fuori di sé. In questa attitudine i sensi e la percezione si acuiscono e partecipano all’evento.

La voce ha un timbro i e manifesta uno stile personale. È pertanto no strumento interessante con cui fare esperienza di sé e dell’altro e su cui portare l’attenzione per sviluppare una presenza costruttiva e rispettosa di entrambi gli interlocutori nella relazione.

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