La voce e il linguaggio delle emozioni

La voce è espressione di emozioni personali e, allo stesso tempo, forma e informa lo spazio della relazione nel contatto, nel rifiuto, nella richiesta, nella rabbia, nella seduzione e nella disponibilità a lasciarsi trasformare dalla relazione stessa, come in un gioco.

Mettersi nei panni dell’altro è anche mettersi nella voce dell’altro, andare al di là del muro che certe parole e certi toni creano, fare uno spazio interno dove le voci abbiano il tempo di risuonare e di tradursi in emozioni che hanno un corpo e un’anima.

Il processo di ascolto degli effetti del suono sul corpo e dei riverberi emotivi interni a volte è immediato, altre volte richiede il darsi tempo per non cadere in vischiose catene di azioni e reazioni reciproche che allontanano sempre più gli interlocutori.

Il lavoro si muove nella direzione di ascolto di quell’eco che permane nell’aria, che risuona emozionando; va verso lo sviluppo di un’attenzione interna, intenta a riconoscere che effetto fa a me la mia voce e la voce dell’altro, i miei silenzi e i suoi, accettando le reazioni come ingrediente da mettere in gioco nel lasciarsi trasformare.

La relazione di aiuto infatti richiede di esserci a tutto tondo, di una presenza
Nozze di Sangue consapevole che tenga conto delle proprie emozioni in modo autentico e non solo di ciò che si ritiene congruo con il proprio ruolo. È un allenamento a dare voce a quello che dentro si manifesta come indicibile, come qualcosa di troppo sfuggente per essere confinato in una parola, o di troppo spaventoso per essere affermato davanti all’altro con il rischio di perderlo.

La voce ha qualità di trasparenza rispetto al sentire, per essere emessa con una certa intenzione richiama il corpo ad una presenza inusuale, rilassata ma direzionata dall’intenzione di sporgersi al di fuori di sé. In questa attitudine i sensi e la percezione si acuiscono e partecipano all’evento.

La voce ha un timbro i e manifesta uno stile personale. È pertanto no strumento interessante con cui fare esperienza di sé e dell’altro e su cui portare l’attenzione per sviluppare una presenza costruttiva e rispettosa di entrambi gli interlocutori nella relazione.

Nell’ottica di una comunicazione creativa questo significa pertanto ricordarsi di avere cura di sé nella relazione, che sia d’aiuto o meno.

Si ha cura di sé ricercando ogni volta una posizione di autonomia del proprio canto rispetto a quello dell’altro, un punto in cui sia possibile uno scambio pur mantenendo la propria qualità, invece di una confluenza dove sé e l’altro diventano un tutto indistinto in cui si perde una voce piuttosto che guadagnarla.

La qualità personale e unica diventa l’unico cammino che vale la pena percorrere, come un gioco che non ha fine e che è sempre generoso di scoperte nuove per ognuno, si lascia così un poco da parte la paralizzante preoccupazione di vincere o perdere, di essere migliori o peggiori, di essere di più o di meno. Se si allarga un po’ l’obiettivo oltre questo angusto scorcio di vista, lo spazio per coltivare qualunque piccolo suono personale si accresce e già nell’immaginario diventa una musica interessante che richiama l’attenzione propria e degli altri.

La logica del cambiamento verso nuove direzioni si muove a piccoli passi, guardando lontano oltre i piedi che indicano la direzione come una bussola.

Il contatto con l’altro, pur con il suo disagio, con la sua richiesta più o meno esplicita fatta di parole, suoni, intonazioni, gesti, può allora arricchirsi e diventare un fluire unico inaspettato, che porta lontano da quel senso di frustrazione e impotenza tipico del susseguirsi di frasi automatiche in copioni sempre uguali.

Attraverso la voce ci si può mettere addosso personaggi che mai avremmo pensato o mai vorremmo essere e in questo modo imparare a dialogarci da dentro la loro pelle. Mettendosi nella voce dell’altro si può scoprire qualcosa di sconosciuto di questi, altro da noi.

Scopriamo che non siamo costretti a rimanere sempre nei nostri panni, ma che possiamo rompere e irrompere con altra voce fuori dagli schemi di sempre, allargando il numero dei nostri personaggi interni, tutti con uguale diritto di parola.

In fondo anche la nostra stessa voce è la voce dell’altro, così come la percepiamo estranea sentendola registrata o sentendoci parlare. C’è sempre uno scollamento tra l’immagine che ci portiamo dentro e la vera voce; quando
la risentiamo, come accade nelle telefonate in differita, ci accorgiamo di quante incrinature, forzature, tentennamenti e altre sfumature che parlano di noi lei racconta a nostra insaputa. E viene da chiedersi noi dove siamo e che direbbe la nostra vera voce, quella più nascosta, che se ne sta dietro. Questo rimane e non può che rimanere un mistero perché fintanto che non esce nell’aria non può dirsi reale e quando si incontrerà con l’aria esterna, così come ogni essere umano soffrirà del limite e dell’imperfezione di non aderire alla forma ideale. Ma come esseri umani possiamo confrontarci e trasformare solo a partire da ciò che si manifesta.

La voce ha questo potere di trasformare il pensiero vago e impersonale in emozioni dense e concrete per la persona e per chi l’ascolta, di traghettare i moti dell’anima, persi nell’aria, verso immagini sonore dai contorni più definiti e osservabili, che si riempiono dei colori del sentire nelle varie sfumature.

Quando il dialogo è percepito come un fenomeno sonoro, allora cominciamo a percepire più chiaramente il tempo dell’altro; mettendoci nel suo respiro entriamo in consonanza con il tempo dell’altro.

Un flusso di voce cantato o parlato, va a finire ad un declino della spinta che l’ha portato fuori e quello è il tempo del respiro o, a volte, del sospiro, là dove lo scambio con l’esterno potrebbe di nuovo cominciare e dove la comunicazione dell’altro può inserirsi.

Lì inizia la decompressione, si forma un fisiologico vuoto, in grado di aspirare in sé il nuovo, come una soglia di passaggio tra il mondo dei fatti e il mondo del possibile e dello sconosciuto. È ciò che accade nella respirazione guidata alla compressione, espirazione totale dell’aria, e decompressione, riempimento naturale dei polmoni involontario.

Entrare in empatia con ciò che la voce sta dicendo e non solo con le parole nel loro significato porta lo scambio su un livello più complesso e autentico dove è possibile incontrare l’altro nella relazione.

La voce è evocatrice di senso oltreché di significato, e con il suo timbro, la sua intensità e il suo ritmo è espressione dello stile unico dell’altro.

Una fantasia, un’immagine parlata può diventare una foresta di suoni dove il significato delle parole si perde in un canto che le riveste di senso oltre che di significato.

Nella relazione appare chiaro che, rimanendo su un piano di comunicazione digitale dove il contenuto viene eletto a verità unica, non troveremo molte strade di creatività e stupore verso l’altro; l’altro finisce per essere una fatica di cui farsi carico, invece che un incontro di scambio. Per quanto una persona sia animata da buone intenzioni e da resistenza, vivere le relazioni stando nello sforzo e nella fatica di reggere, non porta a fluire insieme.

 

 

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